Giornate di Studio sull’Immagine Documentaria per approfondire e riflettere. 1a edizione. A cura di Punto di Svista
Fotografia documentaria, fotogiornalismo, reportage. Definizioni che dovrebbero servire a catalogare, capire, chiarire, indicare differenze ma che in realtà cercano disperatamente di mettere a fuoco la relazione presunta tra fotografia e verità di fatti ed eventi (pubblici ed anche totalmente privati) confondendo piani, metodi e obiettivi.La questione del racconto, della (im)possibilità della narrazione attraverso le immagini; la questione etica, intesa come banale sfruttamento di contenuti universalmente condivisibili e non come consapevolezza da parte dei fotografi del valore della propria azione; lo svuotamento della funzione del fotografo ridotto a pura “fabbrica disumanizzata” di pezzi tutti uguali da inserire/vendere nel mercato; la catena di montaggio dell’informazione che uccide il valore della fotografia; il problema della relazione tra finzione e realtà, tra manipolazione e correttezza, tra comunicazione e informazione.
Il mondo della fotografia tende ormai a considerare superflui molti aspetti che invece sono ancora al centro di una confusione gigantesca, generata da un sistema dell’informazione che ha completamente dimenticato il semplice concetto di “emersione della verità” nel complesso delle sue infinite variazioni. Scrive Goffredo Fofi su l’Unità del 23 maggio 2011 (pag.23 – La fine della foto-verità): “…quel che sconcerta è – in Italia con la sola eccezione onesta e rispettosa de L’Internazionale – l’assenza totale o quasi totale del “genere” fotoreportage, come se i giornali potessero farne tranquillamente a meno”. Ebbene, non siamo certi che le cose siano esattamente così. Poiché analizzando la questione da un altro punto di vista (più interno al sistema fotografia) la situazione potrebbe essere interpretata in un modo opposto: l’espulsione del reportage dagli organi di informazione in Italia ha determinato un eccesso produzione di reportage visibile in altri ambiti. E basta ad esempio partecipare a una lettura di portoflio in uno qualsiasi degli innumerevoli festival fotografici italiani per rendersene conto.
Ed allora in questo caos in cui ogni elemento possibile di analisi ma anche il suo esatto contrario determinano una condizione di incomprensibilità dei problemi, l’unico modo per cercare di andare al nocciolo delle questioni è quello di fermarsi e procedere a un’indagine libera e, almeno nelle speranze, fuori sistema e anticonvenzionale. È proprio ciò che abbiamo provato a fare noi di Punto di Svista, insieme a Officine Fotografiche, ideando e organizzando la prima edizione de Le Giornate di Studio sulla Fotografia Documentaria e il Fotogiornalismo.
Tre giorni di intenso confronto, di approfondimenti, di dialoghi senza barriere, di analisi e tentativi di capire ragionando al di là delle coordinate del sistema-fotografia. Il format di queste giornate di studio era stato pensato basando tutto sulla struttura della conversazione e del confronto con il pubblico. È ciò che si è provato a fare con il sociologo Giovanni Fiorentino e il semiologo Paolo Peverini, con la fotografa polacca Monika Bulaj, i fotogiornalisti Giorgio Cosulich e Stefano Snaidero e l’apporto di moderatori come Orith Youdovich, Valentina Trisolino, Alfredo Covino e Emilio D’Itri. Dialoghi serrati che si sono concretizzati in territori che non prevedevano luoghi comuni e timori di alcun genere. Opinioni forti, precise e diverse (a volte) collocate una dietro l’altra nel palcoscenico del confronto e dello scambio.
Cosa è emerso da queste giornate di studio inziate con un mio seminario sull’auto-rappresentazione fotografica del popolo israeliano nella propria condizione decennale di elemento di un conflitto bellico che sembra non poter terminare mai?
In primo luogo, che per comprendere i meccanismi della fotografia documentaria e del fotogiornalismo è necessario allargare lo sguardo e cercare di tenere presente come le altre discipline visuali (fotografia contemporanea, videoarte, cinema) si occupano degli stessi temi al centro della produzione fotografica mondiale legata all’informazione. Questo procedimento di studio permette di riflettere con respiro più ampio sull’essenza delle immagini e sulla fragilità del rapporto tra fotografia e realtà oggettiva e univoca dei fatti. Tra i tanti argomenti trattati nei tre giorni è emerso quello del cosiddetto “effetto di realtà” e quello conseguente della questione della presa di coscienza dell’eccesso di responsabilità (al limite della mitizzazione) che forse è stato dato ai fotogiornalisti e alle loro immagini.
Altro punto su cui si è discusso è quello che Goffedo Fofi nel suo articolo su L’Unità sintetizza come: “…una brutalità che faccia colpo, e che spesso sfiora l’effettaccio”. Abbiamo mostrato una fotografia (di reportage?…documentaria?…, non sappiamo) che privilegia la sfera umana, la condizione delle persone raffigurate lontano dal pericolo dello stereotipo occidentale e dello sguardo neo-colonialista di certa fotografia di oggi.
E poi ancora, abbiamo affrontato in modo preciso l’argomento più di attualità, cioè quello riassunto nella domanda: “cosa vuol dire essere fotogiornalisti oggi?”. Da quest’ultima discussione è venuta fuori con chiarezza, ancora una volta, la madre di tutte le problematiche: cioè l’effettiva mancanza di libertà di espressione che riguarda i fotogiornalisti di oggi, costretti a produrre in maniera asettica solo immagini di un certo tipo (“…altrimenti nessuno li farà lavorare”) secondo quelle che sono le regole di stile (e comunicative) imposte proprio dai mass-media, fattore che determina un corto circuito della democrazia nell’ambito dell’informazione.
Argomenti complessi e sostanziosi, temi in qualche caso scomodi e fastidiosi, aspetti che abbiamo voluto affrontare non con sterile spirito polemico fine a se stesso ma con la volontà di scardinare i meccanismi dell’assuefazione e della disillusione, a favore della fotografia documentaria e del fotogiornalismo e non contro, e nel tentativo di riportare il fotografo al centro del processo informativo e divulgativo e di toglierlo da quell’angolo privo di prospettiva professionale e creativa in cui è stato collocato dalla tirannia di un mercato della fotografia caratterizzato dal doping del conformismo e dell’assenza di stile.
© Punto di Svista 05/2011
IMMAGINI
1 18 maggio 2011 – Seminario di Maurizio G. De Bonis
2 19 maggio 2011 – Maurizio G. De Bonis dialoga con Paolo Peverini e Giovanni Fiorentino
3 19 maggio 2011 – Valentina Trisolino e Orith Youdovich dialogano con Monika Bulaj
4 20 maggio 2011 – Alfredo Covino dialoga con Giorgio Cosulich e Stefano Snaidero
Tutte le immagini sono di Luisa Carcavale
INFORMAZIONI
Giornate di Studio sull’Immagine Documentaria
A cura di Punto di Svista e Officine Fotografiche
18 – 20 maggio 2011