Per un’estetica tra cinema e fotografia
La storia dell’evoluzione delle arti figurative e visive si manifesta senza dubbio come vicenda densa di intrecci, derivazioni, riferimenti e connessioni. Tale aspetto è rintracciabile in maniera più che evidente per quel che riguarda le arti visive tecnologiche che si sono sviluppate in maniera esponenziale nel corso del Novecento. In tal senso, ma questa è ormai è un’ovvietà, il legame tra fotografia e cinema, a cui bisogna aggiungere la questione del dispositivo video, è inequivocabile, granitico.
Ecco perché, anche alla luce delle ulteriori evoluzioni tecnico-espressive e linguistiche (realtà virtuale, comunicazione multimediale) appare sempre più necessario compiere operazioni di carattere creativo che mettano a fuoco tale congiunzione, attraverso esperienze estetiche e linguistiche che possano rappresentare degli ulteriori trampolini di lancio per future sperimentazioni di carattere visuale. Se si analizza con attenzione la storia del cinema è così possibile verificare come molti cineasti del XX secolo e di questa prima parte di terzo millennio abbiano ampiamente attinto dal pozzo senza fondo della lingua fotografica (con riferimento anche all’Ottocento) nonché come alcuni significativi registi abbiano anticipato temi ed elementi compositivi che poi sono divenuti stilemi nel campo della fotografia contemporanea.
In questo contesto, cosa vuol dire per un fotografo lavorare a un progetto che allunghi le sua radici nel mondo poetico di un autore cinematografico? Significa essenzialmente giocare a carte scoperte, chiarire il proprio punto di partenza creativo senza nascondere la relazione con il regista che l’ha generato, evitando accuratamente di cadere nel facile gioco del citazionismo o peggio in quello ancor più banale della clonazione. Significa studiare a fondo un’estetica, una poetica e uno stile altrui, elementi che rappresentano idealmente solo un “luogo” di confronto e di una possibile apertura artistica. Il fotografo che intende esprimersi in questo territorio si trova essenzialmente nella condizione di colui il quale, immergendosi totalmente nell’universo creativo di un poeta visivo, rielabora tale universo rimodellandolo all’interno di una propria architettura stilistica. Ed è esattamente questo il meccanismo che ha spinto in avanti sia la lingua fotografica che quella cinematografica.
Alla luce di quanto affermato, il Gruppo di Ricerca Satantango, sotto l’egida di Punto di Svista, ha portato a termine due progetti: uno connesso alla figura del regista ungherese Béla Tarr e un altro i cui spunti iniziali sono stati il cineasta svedese Ingmar Bergman e il connazionale drammaturgo, poeta e pittore August Strindberg. Questi processi creativi hanno dato come esiti conclusivi due prodotti editoriali che testimoniano di percorsi di studio effettuati: Eufonie – Cinque fotografi e il cinema di Béla Tarr (Postcart, 2019) e Nulla è più vero del nulla – appunti visuali su Ingmar Bergman e August Strindberg (Punto di Svista, 2023).
Dal 2024, il Gruppo Satantango ha iniziato un nuovo viaggio di ricerca che prende le mosse sul piano narrativo-visuale dalla poetica di Alain Resnais e dal movimento definito “nouveau roman” mentre su quello filosofico dalle elaborazioni del concetto di tempo di Henri Bergson e dalla questione del decostruzionismo, a partire dal pensiero di Jacques Derrida.*
© Maurizio G. De Bonis – Punto di Svista 09/2017
GRUPPO DI RICERCA SATANTANGO
Curatore fondatore
Maurizio G. De Bonis è giornalista culturale, critico cinematografico, fotografico e delle arti visive. Dirige dal 2000 la testata giornalistica CultFrame – Arti Visive. Fino all’aprile 2018 è stato direttore responsabile di CineCriticaWeb e fino al gennaio 2018 Condirettore della testata giornalistica Punto di Svista – Arti Visive in Italia. Ha curato mostre per istituzioni pubbliche e gallerie private. Ha insegnato Linguaggio del Cinema Documentario e Arti Visive Comparate nell’ambito della Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Pubblica con la casa editrice Postcart.
Autori
Simona Lunatici è storica dell’arte di formazione, fotografa autodidatta, il suo interesse è rivolto prevalentemente verso la fotografia di paesaggio; negli ultimi anni la sua ricerca si è spostata dagli aspetti più strettamente documentavi all’osservazione dello spazio come esperienza soggettiva di dialogo con i luoghi.
Simona Scalas nasce in Sardegna; si trasferisce a Roma per proseguire la sua ricerca fotografica e per diplomarsi all’Istituto Superiore di Fotografia (ISFCI). Attraverso il suo lavoro indaga e studia la collettiva solitudine della condizione umana in relazione con la natura, intesa come misteriosa presenza interiore e come imprevedibile e intricato spazio fisico nel quale l’essere umano tenta di collocarsi.
Francesco Pittorru nasce in Sardegna nel 1976. All’età di 27 anni si trasferisce a Leon Guanajuato, in Messico, dove inizia il suo percorso nel campo delle arti visive conseguendo il “Diplomado de Fotografia all’Univesidad Ibero Americana de Leon”. Questi del Messico sono anni di profonda ricerca interiore. La spiritualità, il mistero, l’immaginario onirico, legati alla dirompente sensualità di cui la vita e l’arte messicana sono impregnate, stimolano e nutrono la sua ricerca fotografica. Dal 2013 vive a Roma dove si diploma all’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata. Attualmente il lavoro dell’autore si concentra su una personale e rielaborata visione della realtà in cui l’essere umano è messo in relazione allo spazio naturale e urbano, in un fluire di immagini che non contengono in sé la necessità di essere codificate.
Camilla Postiglione nasce nel 1992 a Roma, città in cui vive e lavora. Nella sua ricerca indaga maggiormente la relazione tra l’essere umano e il luogo, inteso come spazio intriso di memoria e metafora di una condizione esistenziale interiore.
Orith Youdovich vive e lavora tra Roma e Tel Aviv. Ha abbandonato il reportage sociale per dedicarsi alla fotografia concettuale e da allora dirige il proprio sguardo sul mondo in un continuo processo di analisi del rapporto tra sguardo soggettivo e paesaggio. Svolge attività di ricerca artistica sulla connessione tra fotografia e cinema. Ha esposto in mostre personali e collettive in Italia e in Israele. È co-autrice del saggio Cosa devo guardare – Riflessioni critiche e fotografiche sui paesaggi di Michelangelo Antonioni (Postcart, 2012), Il vento e il melograno – Fotografia Contemporanea Israeliana (Postcart, 2017) e curatrice di “Fotografia Israeliana Contemporanea” (FPM Ed., 2005). Dal 2009 è direttore responsabile della testata giornalistica Punto di Svista – Arti Visive in Italia.