Immagini contemporanee. Una questione di immaginazione. Conversazione sulla fotografia tra Francesca Loprieno e Giovanna Gammarota. 1a parte
Lo scorso 14 marzo si è svolto a Roma, nell’ambito dell’Evento “Obiettivo donna” presso Officine Fotografiche, un incontro tra le fotografe Francesca Loprieno e Giovanna Gammarota all’interno del concept ideato dall’Associazione culturale Punto di Svista: Immagini Contemporanee. Le due autrici hanno dialogato sul tema “La memoria tra spazio collettivo e indagine personale” affrontando l’una il lavoro dell’altra, moderatrice dell’incontro Orith Youdovich. Di seguito proponiamo la prima parte di uno scambio successivo di “corrispondenza” tra Loprieno e Gammarota sul tema trattato.
Ad avviare (con una domanda conclusiva a Francesca Loprieno) questa “conversazione” a distanza sulla fotografia è Giovanna Gammarota.
Parliamo di Identi-Kit, un lavoro in cui ritrai in dittico una serie di donne ispirandoti alla posa delle foto segnaletiche e coprendo i loro occhi con oggetti diversi. Osservandole mi sembra di cogliere una relazione tra tale oggetto e il soggetto ritratto, come se il senso di questo coprire fosse la testimonianza silenziosa della negazione di qualcosa. Lo sguardo è essenziale nel vivere, permette di penetrare ciò che ci circonda e attraverso l’elaborazione attuata dall’istinto, dalle nozioni, dalle raffigurazioni, fa sì che si possa formare un pensiero autonomo. Il messaggio più forte che leggo in questo progetto è dunque quello della negazione di tale opportunità, indipendentemente dal luogo di appartenenza (occidentale o orientale, cristiano o islamico, eccetera) che il soggetto fotografato può suggerire.
L’immagine della ragazza con gli occhi coperti dalla banconota da un dollaro, per esempio, pare avere le sembianze di una persona sudamericana, mi fa venire in mente la negazione dei luoghi ai quali questi individui aspirano, come i messicani che entrano negli Stati Uniti clandestinamente: non hanno il permesso di farlo, il loro sguardo non vale nemmeno un dollaro?
Viceversa la ragazza con la calza di nylon sugli occhi sembra avere fattezze più orientali, potrebbe essere musulmana, la sua è una negazione ad avere la possibilità di mostrarsi come le donne occidentali (e potrebbe essere lei stessa a negarselo).
E ancora: la figura con gli occhi coperti da una candela vive come in una condizione di semi oscurità che necessita di una luce in grado di condurla allo scoperto, ma quella della candela è fioca, non illumina abbastanza, essa appare dunque in una dimensione che prospetta un percorso lungo per poter giungere ad un “visibile” che a sua volta si può leggere in diversi modi.
La nudità delle donne ritratte suggerisce inoltre una sorta di stato primordiale al quale sembra si debba tornare per poter ristabilire un equilibrio perduto o addirittura mai posseduto. In effetti una delle letture possibili che vedo, collocando il tuo lavoro “qui e ora” è la rappresentazione di una sorta di processo involutivo del genere femminile il quale non ha mai conquistato una sua indipendenza/autonomia bensì, pur partendo da una ipotetica situazione di parità con il genere maschile – dettata dalla nudità, appunto – non si salva dalla negazione di una prospettiva che di paritetico non possiede nulla ma che al contrario viene relegata in una condizione del tutto asservita. In pratica è come se attraverso la negazione dello sguardo al genere femminile venisse negata la vita e quindi l’agire per sé. Tutto questo poi si tramuta in stereotipi talmente radicati da non riuscire più a distinguersi dalla realtà vera.
Mi pare di capire che questo tuo lavoro riveli da subito la vocazione verso una ricerca personale e intima che intende orientarsi su cosa e dove guardare ma al tempo stesso racchiude un’idea di liberazione che mette in questa posizione delle donne, posizione che potrebbe però essere ugualmente assunta da degli uomini, o più in generale dal genere umano, in quanto lo sguardo non è per sua natura di genere se non nell’accezione imposta dai media, dalla società, dalla cultura convenzionale.
Allora la parola che mi viene spontanea alla mente è “immaginazione”, occorre immaginare perché lo sguardo ci viene negato. Ti chiedo: quando fotografi ti lasci trasportare dall’immaginazione e se sì cosa significa questo per te?
© Punto di Svista 04/2014
Giovanna Gammarota
Grazie Pietro, in effetti è di un certo stimolo e interesse osservare le fotografie di altri autori e poter interagire con essi nel concreto, Tendenzialmente questo non avviene quasi mai in fotografia, un ambito molto spesso autoreferenziale. Raramente mi è capitato infatti di leggere o ascoltare conversazioni in cui un autore parla del lavoro di un altro senza cadere nel reverenziale, se si tratta di nomi noti che sono stati maestri, mai entrando però nel merito positivo o negativo che sia. Viceversa la tendenza è a mantenere una certa distanza che dice poco o nulla ma preserva da eventuali confronti sempre scomodi se si parla di autori meno noti. In realtà niente è più costruttivo del dialogo che porta naturalmente ad osservare con più attenzione e dunque a scoprire aspetti del fotografare che possono solo portare un arricchimento e nuove prospettive.
Pietro D'Agostino
Con questa iniziativa di dialogo reso pubblico, Giovanna e Francesca dimostrano che è possibile concretamente avviare un confronto tra autrici all'interno del mondo individualistico della fotografia. Due donne, due storie, ma lo stesso coraggio e consapevolezza nell'intraprendere una conversazione in cui studiano e riflettono ognuna sul lavoro dell'altra. Questo percorso non potrà fare altro che arricchirle e, probabilmente, fare del bene anche a noi.